Per farvi capire l’eccitazione che avevo in corpo appena arrivata in Malesia devo dirvi qualcosa in più su di me. Sono cresciuta a pane e Shandokan: scappare con Kabir Bedi ( giovane) alla conquista dei mari è sempre stato il mio sogno.
Complici le grandi aspettative ( nella mia testa ) e il poco tempo, purtroppo quello della Malesia non è un bel ricordo. Ammetto che ho visto veramente poco, praticamente solo due città, la speranza è quella di tornare e dedicarci alla scoperta del Borneo.
Insomma il nostro compagno di viaggio Skyscanner aveva scelto per noi Kuala Lumpur per poi approdare in Thailandia. Ci aspettava qualche giorno nella capitale malese ed eravamo felici di poter entrare in contatto con una nuova cultura.
La notte in cui arrivammo me la ricordo bene: ci eravamo mossi con i mezzi pubblici per arrivare all’hotel e la zona ispirava tutto men che fiducia. Era buia, isolata, vuota. Arrivati in stanza noto subito la parete turchese in mezzo a quell’arredamento basic. Avevamo troppa fame e cosi abbiamo controllato su internet se c’era qualcosa nelle vicinanze, bastava un Mc donald al volo. Niente, maps non segnava un cavolo nelle vicinanze. Bene, usciamo.
Abbiamo camminato, e camminato, e camminato… I marciapiedi erano in condizioni disastrose, i topi ci passavano davanti, spazzatura ovunque. Troviamo una strada illuminata con qualche locale, non ci ispirava niente, ci siamo fermati un un foodtrack dove un ragazzino faceva svogliatamente panini. Coca zero e hamburger con uovo e cipolla, prima di dormire il top. Ero invasa dal malumore, mi sentivo proprio un macigno addosso, avevo appena lasciato Bali per questa schifezza?
Forse avevamo sbagliato quartiere, forse era solo l’impressione dovuta al buio e alla stanchezza ma avevo solo voglia di piangere. La mattina dopo mi ero svegliata prestissimo ero rimasta per un tempo indefinito a fissare la parete turchese. Ricordate quando nei capitoli precedenti vi ho parlato dei segnali? Ero certa che il turchese fosse il mio colore guida, un colore che non ho mai considerato e che è poi entrato nella mia vita con il divano turchese della nostra casa. Da li mi si è sempre ripresentato come un segno. Ne avevo parlato qui.
Fissavo quella parete e mi dicevo che era li che dovevo essere, chissà perché ma mi consolava questo pensiero.
Abbiamo passato due giorni a Kuala Lumpur: visitato le Batu Kaves (che ancora non erano belle colorate come adesso) , passeggiato nelle sfavillanti vie dello shopping, mangiato ottimi pan-mee e un pomeriggio abbiamo partecipato a una “gara di ballo” della Lipton in mezzo alle strade del centro. Avete presente quei giochi in cui devi ballare seguendo le indicazioni dello schermo? Ecco se facevi abbastanza punti vincevi un tè freddo Lipton ai frutti tropicali, è stato divertentissimo!
Abbiamo poi visto le famose Torri, altro non simboleggiano che un grande impero petrolifero. Mi fa sorridere che rappresentino la città , ho un personalissimo pensiero su Kuala Lumpur : se la osservi con il naso all’insù rimarrai estasiato da metropolitane sopraelevate, centri commerciali, grattacieli luminosi e insegne ricche e lussuose. Il mondo si capovolge se guardi dritto davanti a te: marciapiedi distrutti, povertà, occhi penetranti e scuri.
In Malesia mi è successa una cosa: mi sono sentita a disagio, come non mai.
C’erano 38 gradi, usavo una gonna lunga con spacco al ginocchio e magliette a manche corte. È un paese con una forte identità musulmana e come capita sempre in questi casi mi copro: rispetto la loro cultura e uso vestiti adatti. Gli sguardi che ho ricevuto in quei giorni li sento ancora addosso, mi hanno fatto sentire, sporca, sbagliata, vergognosa. Come la peggiore delle puttane. Salivamo in metro e fatta eccezione per le fermate super centrali avevo gli sguardi degli uomini sempre addosso, e quelli delle donne? Terrificanti.
Non esagero, davvero. In una città ultramoderna come quella non ero certo disposta a mettermi un burqua, anche perché oltre al caldo ero vestita come le altre ragazze e turiste. È stato molto brutto, per me come Donna e per mio marito ugualmente, che ha dovuto sopportare tutte le occhiate indiscrete e schifose.
Di rientro dalle Batu Kaves appena saliti sul treno (super all’avanguardia) il controllore ci fa subito notare un cartello con scritto SOLO DONNE. Non ce lo aspettavamo. Proseguiamo nei vagoni seguenti: solo uomini, solo donne e bambini, fino all’ultimo quello misto. Cartelli in bella vista segnavano divieto di baciarsi e tenersi per mano.
Ho riflettuto molto su quanto l’uomo voglia dimostrare la sua sfacciata ricchezza e modernità e allo stesso tempo schiacci come insetti il rispetto e l’uguaglianza. Quel lato di mondo NON fa per me. Ho rispettato la loro cultura, non ho indossato shorts e canottiere pur non essendo vietato farlo, e ci ho guadagnato una sensazione terribile. Non è bello.
Tutto è andato meglio quando siamo andati a fare una gita in giornata a Melakka, un paesino multiculturale dove la passata influenza portoghese si fa sentire. La cosa più divertente di quella cittadina erano i tuk tuk forniti di casse con la musica a palla tutto il giorno, ognuno aveva un tema: chi Hello Kitty, Frozen, Pokemon … erano coloratissimi, carichi di pupazzetti e oggetti simpatici. Melakka si gira a piedi in qualche ora, è moderna e aperta ai turisti.
Ricordo che c’era un muro coloratissimo dove volevo farmi delle foto, ho dovuto aspettare il mio turno perché un gruppetto di ragazzine asiatiche aveva avuto la stessa idea e mi aveva preceduto. Erano divertentissime: sembravano direttrici dei migliori giornali di moda, si bacchettavano a vicenda su pose ed espressioni da fare e io e Manu ci siamo fatti delle sane risate. Ne abbiamo approfittato per far scattare a loro le mie foto e sapete cosa ho imparato? Non sorridere, schiena dritta, una gamba davanti all’altra, pancia indentro e via! Un bel ricordo di quella giornata, insieme alle birre belga bevute in un pub di Chinatown.
Il capitolo della Malesia non è stato piacevole, ma come tutti i pezzetti della nostra vita ci insegna qualcosa. Continuerò a interessarmi alle culture dei paesi in cui viaggio, a rispettarle e non farmi fermare da chi mi scoraggia.
Gli ostacoli ci saranno sempre, anche i momenti no e le persone cattive, ma non facciamoci influenzare e continuiamo per la nostra strada.
E ora, si vola a casa. Bangkok arriviamo.

Mi dispiace che la Malesia ti abbia lasciato questi brutti ricordi.
Molte persone ch econosco una volta a KL rimangono sconvolte,poi ci tornano e ne capiscono la magia.
Io ho iniziato il mio viaggio proprio da KL, come te mi informo tanto sui paesi cheandrò a visitare perchè mi piace immergermi nella loro vita quella vera. Ho notato subito il voler mostrare la parte ricca qando ai piedi è tutto sporco,ma come ben si sa dietro ogni opera imponente c’è qualche storia di soldi,petrolio,sangue,sfruttamwento e così via.Purtroppo KL sta perdendo la sua identitàgrazie ai potenti del petrolio, ma questo è un altro discorso.
Io ho trovato persone bellissime,disponibilissime. in città mi sono persa nei vicoletti mangiando nei loro ristoranti tipici lontano del turismo (per la prima volta mi sono ritrovata amangiare il riso con le mani servito su una foglia di banano !!)
Certo passare da Bali a KL è un grosso cambiamento, ma spero che un giorno tu possa dare un’altra possibilità a questa città che ha tanto da offrire.
Manu
Manuela grazie per il tuo messaggio. So bene quanto le grandi industrie stiano rovinando l’autenticità dell’Asia purtroppo, e sono certa che ogni singolo posto al mondo abbia qualcosa da offrire, e che tuti viviamo i luoghi in maniera diversa. Spero un giorno di tornare in Malesia e avere una seconda possibilità per vederla, magari lontano dalle grandi città!
Leggendo questo tuo racconto e degli sguardi indiscreti di KL, mi è venuta subito in mente una storia raccontatami da alcuni ragazzi argentini conosciuti in Cambogia. Loro hanno avuto la stessa esperienza, se non peggio, in Sri Lanka. Ma non erano sguardi di “disprezzo” ma anzi quasi molesti. Mi raccontarono cose raccapriccianti successe sui quei treni cingalesi. Però sono d’accordo con te: è solo un pezzettino di una storia ben più grande.